L’economia è fatta di numeri. Di soglie, percentuali, tendenze. Ma anche di aspettative, di sentimenti, di decisioni che si costruiscono nel caos e si giustificano con la lucidità.
La Federal Reserve ha scelto la stabilità – almeno per ora. Per la seconda volta consecutiva, i tassi restano fermi al 4,25%-4,50%.
Ma sotto questa apparente immobilità, il quadro si muove.
La decisione della fed: tra equilibrio e cautela
Il Federal Open Market Committee (FOMC) ha votato all’unanimità per mantenere invariato il costo del denaro. Tuttavia, il rallentamento nella riduzione del portafoglio titoli racconta una storia diversa. I rimborsi dei Treasuries scendono a 5 miliardi al mese, dai precedenti 25 miliardi, mentre rimangono a 35 miliardi quelli relativi agli agency bond e alle asset-backed securities.
Una scelta non priva di resistenze: Christopher J. Waller, membro del board, avrebbe preferito mantenere il ritmo precedente.
Il comunicato ufficiale della Fed non lascia spazio a interpretazioni: l’incertezza è aumentata. Ma quale tipo di incertezza? Non quella dei numeri, ma delle conseguenze. Non quella delle proiezioni, ma delle decisioni politiche.
Uno sguardo al futuro: le previsioni della banca centrale
Le proiezioni economiche raccontano un rallentamento. La crescita stimata per il 2025 scende all’1,7% (dal 2,1% precedente), per poi stabilizzarsi all’1,8% nel 2026 e nel 2027. Anche le previsioni sui tassi segnalano una tendenza al ribasso:
- Fine 2025: 3,75%-4% (due tagli previsti)
- Fine 2026: 3,25%-3,75%
- Fine 2027: 3%-3,25%
- Medio periodo: 3%
Questi numeri raccontano una Fed che guarda avanti, che lascia spazio a manovre future ma senza fretta. Perché ogni decisione ha un impatto che si fa sentire con mesi di ritardo. E se l’errore fosse stringere troppo?
Inflazione, aspettative e la variabile politica
L’inflazione prevista risale leggermente:
- 2024: 2,7% (dal 2,5%)
- 2025: 2,2% (dal 2,1%)
- 2027: 2% (invariato)
Il problema non è il dato in sé, ma la percezione che lo accompagna. Powell lo ha detto chiaramente: “Le persone possono esprimere giudizi pessimistici, ma poi escono e comprano un’auto nuova”. Gli indicatori macro raccontano di un’economia solida, ma i sondaggi tra imprese e consumatori dicono altro. Si chiama disallineamento tra dati e percezioni. Ed è questo, più che l’inflazione, a preoccupare la banca centrale.
Poi c’è la politica. La nuova amministrazione americana si prepara a cambiamenti importanti in quattro aree chiave:
- Commercio
- Immigrazione
- Politica fiscale
- Regolamentazione
L’effetto di queste mosse è ancora un’incognita. I dazi, per esempio, potrebbero avere un impatto inflattivo, ma in modo imprevedibile. Quanto incide un aumento dei prezzi causato dalle tariffe sulle importazioni? E quanto dura? La Fed lo osserva, ma Powell avverte: “Se l’inflazione generata dai dazi è transitoria, reagire troppo presto potrebbe essere un errore”.
Cosa significa tutto questo per i mercati?
L’assenza di tagli immediati frena le aspettative di chi sperava in un credito più conveniente a breve termine. Il mercato azionario osserva, incerto tra un’economia ancora solida e il rischio di un rallentamento futuro. Il dollaro, nel frattempo, oscilla tra la stabilità della politica monetaria e le tensioni commerciali.
Ma la vera domanda è un’altra: gli investitori si fidano di questa narrativa? Il mercato, si sa, anticipa il futuro. E il futuro, oggi, è più sfocato che mai.