A distanza di quasi otto anni dalle liquidazioni di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, il bilancio del processo di accertamento dei crediti presenta numeri imponenti e risultati deludenti.
Le richieste d’insinuazione al passivo fallimentare – gli atti con cui i creditori tentano di far valere le proprie pretese – sono state oltre 41 mila, per un valore complessivo di circa 5,6 miliardi di euro. Tuttavia, meno della metà delle somme richieste è stata effettivamente ammessa dai commissari liquidatori, che hanno riconosciuto 2,4 miliardi.
Un lavoro lungo e complesso, durato più di sette anni, che si conclude senza alcun rimborso per i creditori ordinari.
Chiusura formale delle liquidazioni: il deposito degli stati passivi
La conclusione ufficiale delle operazioni di verifica e ammissione dei crediti è arrivata il 20 marzo, quando gli stati passivi delle due banche sono stati depositati presso i tribunali di Vicenza e Treviso, oltre che comunicati alla Banca d’Italia.
Si tratta di un passaggio formale che chiude il lavoro svolto dai commissari liquidatori, avviato il 22 febbraio 2018.
Ma l’esito finale rafforza un dato già emerso nei precedenti aggiornamenti: per i creditori diversi dallo Stato e da Intesa Sanpaolo non esiste alcuna concreta prospettiva di recupero delle somme.
Le ragioni dell’azzeramento: precedenze e rimborsi a Stato e Intesa
L’assenza di rimborsi per la maggior parte dei creditori trova spiegazione nelle regole fissate dalla legge di liquidazione. Le somme eventualmente recuperate, soprattutto dai crediti deteriorati, devono essere destinate prioritariamente a Intesa Sanpaolo e allo Stato, in virtù degli accordi siglati nel 2017 per salvare le attività bancarie sane.
Intesa ha concesso prestiti garantiti dallo Stato alle due liquidazioni – 3,2 miliardi per Vicenza e 3,1 per Montebelluna – e ha ricevuto 4,7 miliardi complessivi in oneri di ristrutturazione e contributi sul capitale.
L’obiettivo dei liquidatori, pertanto, è rimborsare prima queste somme, lasciando inevitabilmente a secco i creditori chirografari.
Azionisti e obbligazionisti: migliaia di richieste respinte
Una parte consistente delle richieste d’insinuazione è stata presentata da azionisti e obbligazionisti subordinati, molti dei quali hanno cercato di far valere danni legati alla vendita scorretta dei titoli. Tuttavia, le domande di coloro che avevano firmato nel 2017 le transazioni tombali con le banche sono state automaticamente escluse, in quanto avevano rinunciato a qualsiasi pretesa futura.
I commissari hanno inoltre precisato, nelle loro relazioni annuali, che l’assenza di prospettive concrete di soddisfacimento dei creditori rende ogni opposizione pressoché inutile, sebbene formalmente possibile entro 15 giorni dalla comunicazione dell’esclusione.
Popolare di Vicenza: il peso delle azioni e delle obbligazioni subordinate
Nel caso della Banca Popolare di Vicenza, le richieste d’insinuazione al passivo sono state oltre 28 mila, per un importo complessivo di circa 3 miliardi di euro. Più della metà – circa 15 mila domande per 2 miliardi – riguardavano azionisti che lamentavano irregolarità nella vendita delle azioni.
A queste si aggiungono oltre 12 mila richieste da parte di obbligazionisti subordinati, per un valore di 587 milioni. Il restante 12% delle pretese, pari a circa 370 milioni, proviene da altri creditori ordinari, con 845 domande presentate.
Per quanto riguarda Veneto Banca, le richieste d’insinuazione sono state sensibilmente inferiori rispetto alla Popolare di Vicenza: 12.527 in totale, per un ammontare complessivo di 2,6 miliardi di euro.
La maggioranza delle istanze – circa 11 mila – proveniva dagli azionisti, che rappresentano l’88% delle domande ma solo il 59% del valore complessivo, pari a 1,5 miliardi.
Di segno opposto la situazione sulle obbligazioni subordinate, con appena 451 domande ma per un importo superiore rispetto a Vicenza: 635 milioni. Gli altri creditori hanno presentato quasi mille domande, per un valore di 436 milioni.