L’assemblea di fenice: una stanza, tre voti e una storia da ricostruire
Succede sempre così. I numeri arrivano prima, senza chiedere permesso. Poi si siedono sul tavolo dell’assemblea, freddi, eppure pieni di vita. Fenice, la società che custodisce i marchi di Chiara Ferragni, ha detto sì all’aumento di capitale dopo i dati preoccupanti dei giorni scorsi (leggi qui): 6,4 milioni di euro. Una cifra che ha il suono secco delle scelte obbligate. Una mossa approvata nell’assemblea degli azionisti, con un equilibrio precario che però tiene. Per adesso.
L’amministratore unico Claudio Calabi – un nome che ritorna come una costante, da quattro mesi in campo – ha portato a termine il suo piano. Un piano semplice nella forma, complesso nei significati: fermare l’emorragia, rimettere in piedi la società. Un intervento che non promette miracoli, ma assicura sopravvivenza.
I numeri non mentono. Ecco cosa è successo
A volte si dimentica che i numeri hanno un ritmo. Questi sono i battiti che hanno scandito le ultime settimane di Fenice:
- Aumento di capitale approvato: 6,4 milioni di euro.
- Perdite registrate: 10,2 milioni tra il 2023 e novembre 2024.
- Fatturato 2023: tra gli 11 e i 12 milioni di euro, in discesa dal picco di 14,3 milioni nel 2022.
- Proiezione 2024: meno di 2 milioni di euro di fatturato stimato.
- Nuovo capitale: 200 mila euro post-ricapitalizzazione.
Sono numeri che raccontano di un prima e un dopo. Il prima è un brand che correva veloce; il dopo è una società che si rialza lentamente, con le ginocchia sbucciate.
Sisterhood e alchimia: la maggioranza che tiene in equilibrio fenice
Non c’era incertezza nei voti di Sisterhood (32,5%, la quota di Chiara Ferragni stessa) e Alchimia (40%, la holding che fa capo all’ex presidente Paolo Barletta). Hanno detto sì senza tentennamenti, pronti anche a coprire le parti eventualmente lasciate scoperte da altri soci.
Sisterhood ha confermato la volontà di “sottoscrivere l’aumento di capitale in proporzione alla quota detenuta”, ma è l’apertura a coprire eventuali mancanze che racconta qualcosa di più profondo: un impegno che sembra superare l’opportunità di mercato. Come un patto non scritto, ma rispettato.
Dall’altra parte, Pasquale Morgese. Il suo 27,5% ha votato no. Alla ricapitalizzazione. Al bilancio. A tutto. Ma non si è fermato lì: si è riservato di impugnare sia il bilancio che le delibere assembleari. Un gesto che resta sospeso, tra possibilità legali e tattiche di posizione. Forse entrambe.
Claudio Calabi: l’uomo del “qui e ora”
Quattro mesi. Tanto è bastato a Claudio Calabi per mettere insieme i pezzi di un mosaico frammentato. Il suo incarico come amministratore unico sembrava temporaneo, quasi di passaggio. Eppure, sotto la sua guida, Fenice ha trovato un piano e un’azione concreta.
L’aumento di capitale non è solo un’operazione tecnica. È la linea sottile che separa il “rischiamo di chiudere” dal “possiamo ripartire”. Ora Fenice ha un capitale di 200 mila euro su cui costruire un nuovo percorso. Non è molto, ma a volte basta un centimetro per tenere il piede in campo.
Il contesto: il pandoro, il brand e la narrazione interrotta
C’era stato un tempo – 2022 – in cui i ricavi di Fenice toccavano i 14,3 milioni. Poi qualcosa si è interrotto. Il caso che i media hanno battezzato “pandoro-gate” è stato più di un inciampo: è diventato un effetto domino, di quelli che continuano a cadere quando pensavi fosse tutto fermo.
Il 2023 ha tenuto botta, in apparenza. Ricavi ancora sopra gli 11 milioni, ma con una crepa che si allargava sotto la superficie. Il 2024, invece, è stato il momento della resa dei conti. Fatturato quasi azzerato e perdite cumulate che hanno eroso tutto il patrimonio.
Le implicazioni culturali: quando il marchio diventa persona
Fenice non è solo una società. Non è nemmeno solo un marchio. È un pezzo di Chiara Ferragni, e non perché il 32,5% delle quote dica questo. È il concetto stesso di personal branding che prende forma e si traduce in bilanci, ricapitalizzazioni, assemblee dai toni misurati.
Quando il brand è un’estensione della persona, ogni decisione aziendale diventa anche un gesto umano. Per questo, il salvataggio di Fenice non si legge solo in chiave economica. È un’operazione che racconta la complessità di mantenere un’identità imprenditoriale quando la visibilità è totale. Quando non c’è distanza tra “marchio” e “persona”.
Che succede adesso? il capitale c’è, il tempo è poco
Fenice ha messo in sicurezza il presente. Ora si apre la sfida del futuro. Il mercato guarda, prende nota. Gli appassionati di finanza osservano i numeri, ma forse sono i dettagli marginali a fare la differenza: la disponibilità di Sisterhood, il ruolo di Calabi, le scelte di Morgese.
Non ci sono previsioni facili. La ricapitalizzazione copre le perdite, ma il rilancio è un’altra storia. E non sempre la seconda parte del libro rispetta la trama della prima.
Panoramica dei fatti chiave (per chi vuole solo i numeri)
- Aumento di capitale approvato: 6,4 milioni di euro.
- Perdite cumulate: 10,2 milioni tra il 2023 e il 2024.
- Fatturato 2023: 11-12 milioni di euro.
- Fatturato stimato 2024: meno di 2 milioni.
- Nuovo capitale disponibile: 200 mila euro.
- Soci votanti:
- Sisterhood (Chiara Ferragni): 32,5% (favorevole)
- Alchimia (Paolo Barletta): 40% (favorevole)
- Pasquale Morgese: 27,5% (contrario)
Conclusione (che non è una conclusione)
Il capitale è stato aumentato. Fenice è in piedi. E come sempre succede, il prossimo passo sarà quello che conta davvero.