McDonald’s sorpassa Starbucks come valore

Scritto da Redazione Online - 27/03/2025 - 13 visualizzazioni
McDonald’s sorpassa Starbucks come valore

Dopo quasi dieci anni, McDonald’s è tornato in cima. Non era scontato. Non è mai scontato quando si parla di marchi — di quelle entità strane, metà immagine, metà abitudine. Eppure: +7% nel valore del brand. Tradotto: 40,5 miliardi di dollari. È Brand Finance a dirlo, non un comunicato qualunque.

L’ultima volta che McDonald’s era il numero uno tra i marchi della ristorazione? 2016. Poi, un lungo regno a base di caffè, tazze verdi, e Wi-Fi gratuito: Starbucks.

Ora il sorpasso.

Cronaca di uno spostamento sottile

Niente annunci fragorosi, né colpi di scena teatrali. Il mondo ha continuato a ordinare, a sedersi, a consumare. Ma sotto la superficie, qualcosa si è mosso.

Ecco una panoramica numerica — spietata, ma necessaria:

  • McDonald’s: +7%, per un valore totale di 40,5 miliardi di dollari
  • Starbucks: -36%, ora a 38,8 miliardi di dollari
  • KFC: +8%, con 15,4 miliardi
  • Subway: +12%, arriva a 8,1 miliardi
  • Taco Bell: -3%, scende a 6,9 miliardi

Le posizioni, dal podio in giù, non cambiano. Ma il panorama sì. È come osservare lo stesso skyline in un giorno diverso: la luce è cambiata, e qualcosa non torna più al suo posto.

La crepa nel bicchiere: starbucks e il dilemma del brand

Starbucks non è solo un caffè. È un’idea. O almeno, lo è stata.

Ma quando i numeri iniziano a franare, è raro che si tratti solo di bilanci. Brand Finance parla di reputazione in calo. Di una dissonanza. Come se l’identità che il brand comunica non coincidesse più con quella che i clienti vogliono sentire.

Due mercati chiave vengono menzionati: Stati Uniti e Cina. Due mondi opposti, stesso sintomo: la gente comincia a non raccomandare più. A non parlare più con entusiasmo. A non tornare, forse.

A febbraio, un altro indizio: 1.100 licenziamenti. Silenziosi, ma eloquenti. Non una condanna, certo. Ma neppure un dettaglio da archiviare.

Il peso delle abitudini, il valore delle attese

McDonald’s non ha vinto con una rivoluzione. Ha vinto restando. Resistendo. Perché a volte un brand non ha bisogno di essere nuovo, ma affidabile. Ha continuato a fare panini. Ha moltiplicato le sedi. Ha raffinato i dati. Ha messo ordine nel caos. E la gente, forse, ha solo smesso di voler sorprendersi.

Il caffè ha perso la sfida dell’eccezione. Il panino ha vinto quella della continuità.

Ma il punto è: non c’è una morale. Non ci sono eroi. Solo equilibri che si spostano — come in un vecchio orologio meccanico dove ogni ticchettio ha un costo.

Sotto il marchio, l’eco delle persone

I brand non esistono, in fondo. Sono solo specchi. Proiezioni. Sono quello che decidiamo che siano. E se McDonald’s vale oggi più di Starbucks, forse non è solo questione di performance. Forse è una questione di risonanza.

Cosa dice un Big Mac che un cappuccino non dice più?

Domanda inutile, forse. Ma resta lì. Come un rumore bianco di fondo. Perché tra dati e valutazioni, la verità — quella più difficile da spiegare — è sempre a metà tra l’economia e la psicologia.

E tutto, alla fine, comincia da una semplice abitudine. Quella di scegliere. Ogni giorno. Senza nemmeno pensarci.

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